Mio figlio mi da la forza di lottare e tenere duro
Nella mia tossicodipendenza ogni volta che sentivo la parola Comunità scappavo, perché avevo paura ed io ero il primo che giudicavo in maniera pessimista chi affrontava un percorso simile, lo ritenevo uno scarto della società, un emarginato senza via d’uscita.
Per l’ennesima volta, giunto ad un punto di disperazione totale, con l’imposizione della mia famiglia, intrapresi questo lungo e duro cammino proposto e spinto da loro, contrario alla mia volontà.
In quel momento ero ad un bivio o la strada o la comunità, la verità era che non volevo smettere quella vita, ma proprio la paura di perdere mio figlio e la mia compagna, mi ha spinto in questo percorso.
Giunto in Accoglienza mi sentivo fuori luogo, perché non mi sentivo un tossico, la diversità con gli altri ragazzi che provenivano dal carcere o dalla strada, sosteneva questa mia idea e tutti i giorni mi faceva stare con il pensiero di ritornare a casa.
La prima difficoltà che ho incontrato è stata quella di sottostare a della regole e il distacco da mio figlio e la mia compagna mi faceva sentite solo e abbandonato ed avevo paura di perdere tutto.
Facevo fatica ad andare avanti, mi ricordo che avevo una fretta assurda di andare in Comunità ma la realtà era che dovevo pazientare, facendo i vari passaggi.
Grazie al tempo e alle responsabilità che mi dava la struttura sono riuscito a trovare un po’ di gratificazione, considerazione e serenità in quello che facevo, soprattutto nei weekend riassaporavo il calore e l’affetto dei miei cari e questo mi ha dato la forza per andare avanti.
Ho iniziato a sbloccarmi con i ragazzi, questo perché ero molto timido, impaurito e chiuso riuscendo ad essere meno diffidente. Grazie anche all’aiuto degli operatori che mi hanno spinto a parlare esternando anche la mia idea, riuscendo a dare un senso alle regole e ciò mi iniziava a piacere, perché mi sentivo utile, parte di qualcosa.
Alla notizia del passaggio in Comunità, riemersero in me le paure, in particolare di dover riaffrontare un contesto nuovo e rimettermi in gioco.
Arrivato in Comunità con il mio bagaglio, la mia insicurezza, la mia timidezza e tanta paura nel non sapere cosa mi sarebbe aspettato, mi sentivo un bambino senza difese, solo e triste, preoccupato ed ansioso, stavo male e non volevo rimanere.
Nei primi mesi ho sofferto molto nell’ambientarmi ad una realtà di vita a me nuova; mi sentivo l’ultimo arrivato e senza valore, per la prima volta nella mia vita da adulto non avevo difese, questo mi spaventava e mi faceva scappare dalla mia vera personalità.
Sono andato avanti aggrappandomi agli operatori ed ai ragazzi, ma ciò non bastava perché era arrivato il momento di scendere più in basso, dovevo vedere la parte più oscura di me che da anni avevo represso con le sostanze perché mi faceva male e che non accettavo.
Più passavano i giorni e mi autoconvincevo che potevo farcela da solo senza la Comunità, da un lato sentendomi forte e sicuro e tenero e fragile dall’altro.
Dopo sei mesi si ripresentò il solito bivio, dovevo scegliere se mollare o continuare; ma questa volta prese il sopravvento la parte che voleva mollare, chiamando mia madre perché ero deciso ad andarmene, ma poi in ufficio con Gianni ed i miei sono riuscito a prendere coraggio scacciando la paura e scegliendo di andare avanti.
Questa è stata la svolta, il momento cruciale dove ho iniziato a vedere ed a fatica ad accettare chi ero veramente.
Ho iniziato cosi a darmi la possibilità di farmi conoscere per quello che sono, ma soprattutto di farmi voler bene e volermene, costruendo legami di amicizia che mai avevo avuto prima.
Sono riuscito a sfogare la mia rabbia nei gruppi, come pure vedere la cose che sin da piccolo avevano caratterizzato la mia infanzia, come la mancanza di un padre, il dolore che avevo per il mio aspetto fisico e la paura di non essere accettato e all’altezza degli altri. Così mi sono aperto e tolto quella maschera e corazza che da sempre pensavo mi proteggesse, ma che al contrario mi stava facendo morire e spegnere.
Ho sofferto molto e grazie all’affetto di chi mi stava vicino sono riuscito a terminare la comunità, sentendomi vero, umile e nudo però più forte perché avevo affrontato le paure.
Ero pronto a ritornare in società con la voglia di vivere di un bambino, quella che vedevo e sentivo negli occhi di mio figlio.
E stato un anno unico e magico, ricco di momenti di gioia e felicità, oggi la mia vita ha senso perché ho la possibilità di vivermela.
Devo molto a me stesso, agli operatori, in particolare Tatiana, a Gianni e Don Giuliano a tutti i ragazzi, a mio figlio, a mamma e al mio babbo acquisito.
Il distacco dalla Comunità non è stato semplice da una parte, e dall’altra iniziavo a sentirmi più libero, iniziando ad apprezzare le piccole cose e l’importanza di dare valore al lavoro ed al denaro, ma non avevo fatto i conti con i miei atteggiamenti di superiorità, mettendomi anche a rischio, perché la mia parte tossica continuava a volere tutto e subito.
Così ho iniziato ad essere confrontato e ho fatto fatica a riconoscere i miei limiti che la realtà mi poneva continuamente davanti, facendomi sentire piccolo, insicuro ed a disagio.
Ancora una volta mi stavo illudendo, grazie a un duro, ma efficace Simone e nei gruppi dai miei amici e dagli altri operatori, sono riuscito a capire che dovevo cambiare di nuovo il mio atteggiamento.
Infatti, ho lottato e sofferto molto per riconquistare la fiducia della mia famiglia, la paternità con mio figlio, e il rispetto nel lavoro.
Trovavo difficoltà ad accettare l’imbarazzo e la timidezza di fronte alle ragazze, la vergogna quando sbagliavo.
La difficoltà più grande che ho incontrato è stata la continua lotta nel non scappare da me stesso, dalle mie paure e insicurezze, cercando di non fare emergere la mia parte tossica, con tutte le varie voglie legate alla sostanza.
Dopo quattro mesi di rientro sono risultato positivo ad un test e sono stato sospeso, inizialmente ero tranquillo e non davo peso all’episodio sentendomi pulito, ma con il passare dei giorni ho capito che la mia fiducia era stata incrinata e che la situazione era grave, mi sentivo solo e abbandonato tutto era più difficile e in salita. Non sapevo con chi prendermela, ero arrabbiato, spaventato e mi sentivo umiliato per una cosa che non avevo fatto, mi sentivo giudicato, il tossico di prima.
In un primo momento la forza di andare avanti l’ho trovata nel mio orgoglio e nella presunzione di dimostrare il contrario, con l’esame del capello, ma tutti i giorni era diventata una sfida, un’attesa. Cosi ho fatto dei sacrifici, delle scelte per tutelarmi, cercando in me quella pazienza e umiltà per accettare la cosa e farmene una ragione.
È stato un periodo difficilissimo, perché spesso volevo mollare, ma giorno dopo giorno sostenuto da mia madre, dal suo compagno ed appoggiato da Carmelo e Simone, fino a quando il nuovo test ha dimostrato il contrario; quindi da tutta questa situazione sento di essere cresciuto e di averci preso tanto, anche se questo ha creato una lontananza dagli altri ragazzi che con fatica ho cercato di riconquistare.
Infatti, oggi per me l’amicizia è un valore profondo e raro, difficile da costruire e mantenere.
Le amicizie mi aiutano a tirare fuori la mia parte tenera e affettuosa senza tanti timori, perché è bello fidarsi di chi ho vicino.
Io di fondo sono molto sensibile fragile e timido, basta poco per offendermi perché sono molto permaloso, tengo molto all’immagine ed ad andare giù di morale è molto facile.
Tutto mi riesce più facile quando non alzo la pretesa di essere chissà chi o avere chissà cosa, ma soprattutto di accettare quello che sono. Soffro, ma lotto perché mi piace vivere e sento che mi voglio bene.
Sento la mancanza di un rapporto sentimentale, ma non riesco ancora ad affrontarmi per la paura di sentirmi rifiutato, anche se con una mi ero innamorato, e sono riuscito a parlargliene, lei non provava gli stessi sentimenti per me, e questa storia mi ha fatto molto male e per rialzarmi è stato difficile.
La cosa più grande in questo momento nella mia vita è sentire quanto sono importante e quanto mi vuole bene mio figlio, dandomi la forza per tenere duro e lottare ogni giorno.
Il mio sogno è comunque costruirmi una nuova famiglia, anche se una già ne ho, rappresentata da mia madre e il suo compagno e visto che abito con loro cerco di dare il mio contributo. Aiutando nel fare le faccende domestiche e lavori di manutenzione, come pure dare qualcosa dal lato economico.
Questo oltre che a farlo per dare il mio contributo, lo faccio per me perché un giorno poi quando sarò da solo o non so con chi, sarò preparato e sicuro saprò essere autosufficiente e indipendente.
Anche la fiducia ho riconquistato: quando esco sento un ambiente tranquillo o se ci sono problemi paure se ne parla con chiarezza prima o dopo l’evento stesso. Sento molto l’appoggio e l’aiuto di entrambi, soprattutto di mamma perché è lei che mi sta vicino e mi aiuta con mio figlio.
La paura più grande che ho per un futuro (credo imminente) è sentirmi solo con una casa vuota, mi aggrappo al fatto che quando ho bisogno chiedo. Con loro parlo e mi apro non ho segreti, mi metto in discussione cerco di tenerli informati sulle mie cose personali. Tanto per il rispetto e la fiducia quanto perché ci prendo bei consigli e rimandi validi che mi aiutano a sentirmi più libero e a posto con me stesso.
Trovo invece una difficoltà grandissima nel mostrare loro la mia parte affettiva; sono fermo a messaggi o a piccoli gesti come abbracci o bacetti, perché mi vergogno a sentirmi bambino e per la mia timidezza.
Questa è una delle mie fragilità che a volte mi schiaccia mettendomi a disagio e in difficoltà, perché ho paura di non piacere e del rifiuto, sentendomi brutto con le ragazze e solo nella vita.
Ogni volta che sento e vedo mio figlio, purtroppo vado a sentire un’altra fragilità legata alla mancanza di mio padre, sentendo quanto ho sofferto da piccolo e quanto era ed è importante per me. Questo mi ha fatto essere molto razionale, chiuso e diffidente della mia parte emotiva e sentimentale.
Un’altra fragilità è il richiamo alle sostanze e alle voglie negative per non sentire nulla e perché mi piace, dove tutelarmi e rinunciare è difficile.
Al contrario mi sento sicuro e forte nel lavoro dove mi sento realizzato e con un mestiere e responsabilità in mano. Come risorse ho la mia simpatia e l’allegria che mi aiutano nel divertirmi e nel fare nuove conoscenze, la grinta e lo spirito di vita per come affronto e risolvo i problemi, la determinazione e l’orgoglio quando ho un obiettivo da raggiungere, la paura che mi tutela e protegge, la stima e il bene che ho per me stesso che mi fa valutare e scegliere prima di farmi male, mio figlio e la mia famiglia.
Sono arrivato ormai alla fine di questo percorso terapeutico e penso alla questione alcol… mi si drizzano i capelli, perché ho paura: sono due anni che non bevo e non so oggi cosa sarà per me l’alcool perché prima era un problema.
Ho dei buoni propositi di tutela e protezione, inizialmente per non farmi portare via, cercherò di farne un moderato uso solo in situazioni particolari (feste cerimonie) e in presenza di persone che mi aiutino o mi fermino in caso di eccesso, fino a cercare di esserne tranquillo.
Ho paura di coprirci troppo tra problemi e difficoltà, dolori e affetti fino a non volermi più bene, perché prima ero questo.
Sono sincero: ho voglia di bere e di fare questo passo importante.
Il mio obiettivo di riuscire in questo è anche quello di rimanere collegato con qualche operatore per prenderci un aiuto perché sono debole e ne avrò bisogno in momenti brutti di sconforto e di dolore. Oggi posso scegliere per dare un senso alla mia vita grazie a tutti quelli che ho incontrato all’OIKOS e mi sono stati vicino.